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12 Ottobre 2020

#iopagoifornitori: l’impegno concreto delle capofiliera inizia da qui

Un’iniziativa di un consulente bresciano, sposata dalla Confindustria locale, sta facendo il giro d’Italia, raccogliendo migliaia di adesioni e mettendo in luce un tessuto di molti imprenditori virtuosi che vogliono sostenere il sistema, a fronte dei pochi che hanno approfittato della situazione per farsi finanziare dai fornitori.

L’iniziativa #iopagoifornitori

Nasce a Brescia, terra di microimprese e di meccanica – ma anche di innovazione – #iopagoifornitori, l’iniziativa di Alfredo Rabaiotti, amministratore unico di Becom (una società del territorio che opera nella consulenza, nel marketing e nella comunicazione). Un vero e proprio manifesto, scritto nella notte del 25 marzo, quando il lockdown era entrato nelle nostre vite stravolgendole, che raccoglie le idee della “maggioranza silenziosa” degli imprenditori italiani: quelli che verso la filiera attuano e intendono attuare comportamenti virtuosi. Il manifesto ha subito raccolto 50mila condivisioni su LinkedIn, il placet di Confindustria Brescia e l’adesione ufficiale di oltre 350 imprese locali. Allora Rabaiotti è andato avanti, lanciando a inizio ottobre anche un video che ha l’obiettivo di fare chiarezza sulle reali motivazioni del manifesto e che raccoglie un ampio numero di associazioni di settore, portatori di interesse sul tema. Fabio Bolognini, Co-founder di Workinvoice ne ha parlato con lui.

Bolognini: Perché nasce #iopagoifornitori?

Rabaiotti: Prima di scendere in campo, mi ero confrontato con un centinaio di imprenditori per capire quale fosse il mood e quello che mi aveva stupito è che fossero più spaventati dalle scuse che avrebbero trovato i clienti per non pagarli, che dal Covid. “Causa Covid” ha iniziato da subito a diventare l’intestazione tipica della mail asettica che molti dei miei stessi clienti stavano ricevendo come motivazione dei primi ritardi. Gli imprenditori italiani sono capaci e innovativi, spiccano nel mondo, ma si distinguono sempre anche per questo atteggiamento furbetto che, si badi bene, è di pochi, ma danneggia tutti. È su questo che volevo focalizzare l’attenzione.

Bolognini: Ha funzionato, se l’iniziativa è arrivata sul tavolo di Confindustria. Non è la prima volta che dal mondo confindustriale arriva un monito simile. Nel 2014 Assolombarda aveva lanciato un Codice etico dei pagamenti responsabili a cui avevano aderito 229 imprese (i dati sono del 2019). La cosa non ha avuto molto seguito: cosa ha di nuovo e di diverso #iopagoifornitori?

Rabaiotti: La cosa che sicuramente ci differenzia è lo spirito di cooperazione. Quando Confindustria Brescia mi ha chiesto se potesse usare il mio hashtag e ampliare il progetto, la mia unica condizione è stata che si aprisse un tavolo collaborativo a cui avrebbero partecipato tutti gli stakeholder, senza divisioni di campanile. Le associazioni che hanno aderito sono state dapprima locali: Apindustria Brescia, Confartigianato, Camera di Commercio, i dottori commercialisti; poi anche nazionali, dalla Federazione autotrasporti italiani, ad Anima (la rappresentanza della meccanica di Confindustria) ai produttori di macchine industriali di Ucimu. Il segnale è forte. Devo dire che senza l’azione diretta della ex AIB, oggi Confindustria Brescia, la quale ha messo a disposizione professionisti e risorse non saremmo riusciti ad ottenere questi primi importanti risultati. Sicuramente un atto di coraggio da parte del presidente Giuseppe Pasini. Ora l’obiettivo del nostro comitato Confindustria Brescia è di invitare al tavolo tutte le altre associazioni italiane.

Bolognini: Il momento è propizio. Oggi tutti in molti hanno riscoperto l’importanza strategica della filiera, scheletro a sostegno della fragile economia italiana. Ne è un esempio FCA che dal canto suo fa una richiesta di 6,3 miliardi di euro, “per pagare le aziende della filiera”, scrivono tutti i principali giornali. Un esempio positivo, se si pensa che ci sono stati altri grandi gruppi che hanno avvisato i loro fornitori del ritardato pagamento tramite una circolare o con chi, addirittura, dichiara che smetterà di pagare i fornitori e quasi contestualmente chiede un prestito garantito dallo Stato. La verità è che il nostro Paese – già caratterizzato dai tempi di pagamento delle fatture più lungo d’Europa e deferito in più occasioni per questo – presenta molti casi in cui si crogiola in un malcostume antico.

Rabaiotti: le grandi imprese strategicamente fanno del sistema uno strumento di business. Il tema non è tanto legato ai singoli esempi – per quanto comportamenti scorretti vadano redarguiti pesantemente – ma al sistema Italia, che consente di usare queste pieghe per approfittarne. Perché non si chiedono impegni precisi e report dettagliati delle attività alle grandi aziende che oggi accedono ai prestiti garantiti? Purtroppo, le grandi aziende godono di livelli di libertà a mio parere eccessivi e vengono beneficiate dal sistema in maniera a volte immeritata, ricevendo finanziamenti a pioggia mentre dichiarano disfatte e perdite ingenti e strutturali (vedi il caso Alitalia).

Bolognini: Poi ovviamente è innegabile che il lockdown abbia fatto danni importanti. Al netto di casi di scorrettezza più o meno conclamata, ci sono situazioni in cui le aziende si sono trovate in reale difficoltà: e se qualcuna di esse aderisce al Manifesto e poi non ce la fa a pagare?

Rabaiotti: sono felice di questa domanda. Il Manifesto è un’assunzione di responsabilità da parte dell’imprenditore che rimarca un valore fondante del fare impresa. È un impegno a rispondere e a contattare proattivamente il fornitore per spiegare in dettaglio eventuali problemi indicando la strategia di uscita. Più che un’azione o un imperativo è una presa di posizione e di valore per trovare un modo per mantenere le promesse, perché in definitiva i fornitori sono collaboratori.

Bolognini: una soluzione al problema della liquidità delle imprese è sicuramente l’invoice trading e tutti gli strumenti di anticipo fatture che consentono di incassare prima della scadenza i propri crediti commerciali. Queste modalità aiutano a pagare di conseguenza i propri fornitori nei tempi concordati. La finanza alternativa ha aiutato le imprese più piccole a ottenere un maggiore cuscinetto di liquidità, necessario a fronteggiare le condizioni sfavorevoli imposte dalle grandi aziende, in un momento che per i fornitori, soprattutto quelli piccoli e piccolissimi, è topico. Qual è la situazione di questi soggetti, dal suo punto di vista?

Rabaiotti: i primi a farne le spese sono state le partite Iva che di fronte a contratti aleatori si sono trovati nelle condizioni di non lavorare più dall’oggi al domani. In generale il malcostume di non pagare o pagare in ritardo estremo i fornitori è un’abitudine degli anni ‘60 e ’70, quando l’industria ha espresso le prime attività di trading e reso succubi i fornitori. Da consulente sto però spingendo il concetto che la responsabilità sia comune. Spesso sono le piccole aziende che non sviluppano strategie per dare valore al servizio, e l’azienda cliente cerca di sfruttarle, in certi casi nella maniera più bieca possibile. In questo momento di impoverimento degli uffici tecnici delle grandi imprese, per esempio, i terzisti stanno coprendo questo vuoto. Ed è un’occasione per differenziarsi e crescere, ma bisogna evolvere e investire: altrimenti la big corp troverà sempre il modo di non pagare le attività tecniche di fatto portate all’esterno, usando l’arma della non conformità. 

Bolognini: Insomma, si perpetua di fatto l’uso delle grandi imprese di servirsi dei fornitori come banche, facendosi di fatto finanziare a costo zero. Tuttavia ho l’impressione che le ricadute della pandemia siano state uno spartiacque tra imprese e imprenditori consapevoli del valore qualitativo della loro supply chain e altre che hanno attinto al credito fornitore senza troppi scrupoli per ridurre il fabbisogno finanziario.

Rabaiotti: Noi come italiani abbiamo – per esempio a differenza di giapponesi e indiani, per non dire dei cinesi – una forma di individualismo marcato che, usato in maniera sbagliata, ci ha portato dove pochi sopravvivono alle spese di tanti. Non ci si rende conto che invece siamo legati a doppio filo in un ecosistema globale: l’impoverimento della catena degli stakeholder tornerà a boomerang addosso agli imprenditori che ora fanno i furbi. Lo stiamo già vedendo: le aziende che stano recuperando ordini da Francia e Germania, per esempio, e si rivolgono agli stessi fornitori che hanno fatto soffrire, semplicemente non li trovano più. Alcuni hanno dovuto operare scelte drastiche a causa anche dei tagli che l’azienda cliente gli ha chiesto. Oggi non esistono più o non sono in grado di offrire gli stessi prodotti o servizi e l’azienda cliente si trova con le spalle al muro dopo aver percorso il vicolo cieco in cui è entrata da sola. Un effetto del guardare solo al breve termine.

Bolognini: eppure là fuori c’è un esercito di aziende virtuose che invece agisce e opera in maniera diversa…

Rabaiotti: Solo a Brescia sono centinaia le aziende che hanno aderito al Manifesto, e in migliaia e da tutta Italia hanno manifestato interesse. Il tessuto imprenditoriale in cui è nato #iopagoifornitori non è frutto di una minoranza, ma di una maggioranza di imprenditori che non si possono permettere sensazionalismi, ma esprimono con il lavoro quotidiano un valore umano e professionale senza metterlo sotto i riflettori. In questo momento in #iopagoifornitori, hanno trovato semplicemente nero su bianco i valori che perseguono da generazioni. Ho solo dato voce alla foresta che crescendo fa meno rumore dell’albero che cade.

Bolognini: Adesso, a questa maggioranza silenziosa su cui le filiere possono appoggiarsi per ripartire, bisogna dare gli strumenti per efficientare i processi e, quando serve, rendere liquido il credito commerciale non ancora incassato. Liberare i crediti dai divieti di cessione usati strumentalmente per esercitare potere, servirsi dell’anticipo fatture è un modo per ottenere questo obiettivo ma anche, indirettamente, per rendere i pagamenti più puntuali. Le fatture che vengono cedute, ne abbiamo chiara evidenza sul portale in cui vengono scambiate, sono pagate entro i termini di scadenza, molto più spesso di quanto avvenga nella media delle imprese italiane. Dal FinTech può arrivare una moral suasion altrettanto potente lavorando in sinergia con il mondo associativo, che ha fatto proprio l’appello di BeCom.

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