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25 Gennaio 2019

Cinque consigli alle imprese per resistere alla stretta del credito

A cura di Fabio Bolognini, Chief Risk Officer di Workinvoice

Nel 2018 i prestiti bancari si sono ridotti ancora di 44 miliardi, scendendo sotto la soglia dei 700 miliardi totali. E il 2019 non promette bene. Vademecum per sopravvivere alla nuova gelata.

Le statistiche prodotte dalla Banca d’Italia parlano chiaro: nell’ultimo anno i prestiti bancari alle imprese si sono ridotti ancora di 44 miliardi, scendendo sotto la soglia dei 700 miliardi totali. Al picco del novembre 2011 erano 914 miliardi, un calo di quasi 220 miliardi in sette anni. Apparentemente inspiegabile la discesa del 2018 ripensando alle promesse sulla ripresa del credito all’economia reale fatte dallo stesso sistema bancario. Prima che scatti la consueta caccia al colpevole i numeri vanno letti e interpretati. Altre statistiche dicono che negli ultimi 12 mesi le banche hanno cancellato dai loro bilanci circa 34 miliardi di sofferenze lorde verso imprese, perciò la riduzione effettiva di crediti ‘buoni’ è stata di ’solo’ 10 miliardi, che comunque sono troppi e non facilmente spiegabili.

Cosa si prospetta per il mondo delle imprese nel 2019?

La risposta non è incoraggiante: oltre alla gelata dell’economia internazionale, che emerge con forza dagli ultimi dati arrivati da Cina e Germania e le incertezze prodotte dalla controversa manovra di bilancio del governo, tutto lascia prevedere un altro anno negativo per il credito alle imprese, in particolare quelle più piccole e più fragili. La propensione dell’intero comparto bancario a espandere il credito è e resterà bassa per una serie di ragioni esterne e interne al sistema finanziario. Troppi vincoli, a partire dai requisiti di capitale e la riduzione di sofferenze imposti a ciascuna banca dalla Bce (le notizie degli ultimi giorni), che alimentano politiche di ‘de-risking’ (termine anglosassone che traduce la ritirata dalle imprese a maggiore rischio) a caduta su imprese fragili, per le quali ogni cattiva notizia può essere letale. La strategia commerciale scelta da quasi tutte le banche non passa per l’aumento dei prestiti alle imprese, favorisce la crescita delle commissioni e la vendita di prodotti assicurativi di qualsiasi ramo.

Fare credito interessa sempre meno alle banche

L’intermediazione classica del credito è passata di moda, diciamo la verità, da quando molte banche hanno calcolato che i costi del rischio e della pesante infrastruttura portano in perdita gran parte dei prestiti alle piccole imprese. Altri fattori ‘bancari’ alimentano il de-risking: i nuovi principi di calcolo delle perdite potenziali sui crediti (IFRS9) e la fine della lunga stagione di ‘saldi’ di liquidità offerta dalla Bce e adottata soprattutto da banche italiane e spagnole. Oltre 250 miliardi di prestiti Bce a cinque anni e tasso zero (le operazioni TLTRO) dovranno essere rimborsati dal 2020 e non saranno, a quanto sembra, rinnovati, togliendo altra benzina all’erogazione di credito a medio termine. Per dimostrarlo si guardi all’indizio statistico: aumento netto dei prestiti da uno a cinque anni di 3 miliardi nell’ultimo anno, riduzione di quelli a breve usati per finanziare fatture e magazzini, scesi di ben 25 miliardi nello stesso periodo.

Un quadro preoccupante

Se le imprese sono entrate nel 2019 con serie incertezze sul futuro, registrate dall’Istat nel calo dell’indice di fiducia, la perdita del supporto del credito bancario peggiora il quadro. Le banche, oggi percepite fragili, meno affidabili, distratte da problemi che hanno devastato capitaleazionisti e bilanci non sono più quella sponda sicura su cui contare in caso di crisi di liquidità. Per questo lo snodo cruciale da ripensare è la relazione tra dimensione delle imprese, liquidità e credito. Tre fattori che interagiscono in negativo per le caratteristiche strutturali del sistema economico italiano in cui opera un 98% di piccole imprese. La liquidità deriva principalmente dal circuito di pagamenti che in Italia è lungo e penalizzante per i piccoli. Termini di pagamento di oltre 90 giorni imposti dalle grandi imprese alle rispettive filiere di piccoli fornitori e terzisti sono la norma italiana (non così in Germania o Francia).

I dati di chi conosce le dinamiche dei pagamenti tra imprese testimoniano la spinta di grandi imprese verso pagamenti a 120 giorni e oltre nella grande distribuzione e nelle telecomunicazioni. Per una piccola impresa incassare dopo 120 giorni, pagare le materie prime a 30 giorni e i dipendenti ogni fine mese implica uno sforzo finanziario notevole. Le nostre imprese sono cresciute coprendo il fabbisogno con capitali freschi (pochissimo) autofinanziamento (poco) e debito (troppo). Quando il circuito bancario si blocca rimangono due opzioni: la prima è il ricorso al debito di un prestatore più paziente (erario e Inps), che concede lunghe dilazioni su imposte e versamenti; l’alternativa più sofferta è la rinuncia a nuove commesse che sarebbero insostenibili finanziariamente. «Potrei lavorare molto di più, rinuncio a ordini perché non riesco a sostenerli», è un rammarico che si ascolta di frequente. È così che il circuito della liquidità (pagamenti-credito) si inceppa e paralizza le piccole imprese, invece di agevolarne la fluidità, la crescita e la solidità necessaria per fare investimenti senza affanno. Una contraddizione tra le tante di questo Paese in cui governo e corpi intermedi non capiscono l’importanza di preservare la liquidità dei piccoli che non possono convivere con bassi margini e con il peso di finanziare a tasso zero clienti, che non hanno problemi a finanziarsi.

Cinque contromisure di micro-management

Sotto un cielo di nuvole che portano tempesta quali sono le contromisure che le piccole imprese possono adottare nel 2019 per affrontare un’altra stagione di credito congelato? Eccone alcune in ordine sparso.

1. Controllare e pianificare ossessivamente la posizione di cassa manovrando per evitare qualsiasi problema con fornitori e banche; mantenere sempre una giacenza liquida di sicurezza per affrontare ritardi di incasso e imprevisti.

2. Rinunciare a ordini e commesse con pagamenti eccessivamente lunghi o incerti (rischio credito) oppure assicurare i crediti dove possibile

3. Abbandonare i clienti che offrono fatturato a margini eccessivamente bassi o negativi.

4. Accelerare la presentazione del bilancio 2018 e migliorare il grado di trasparenza delle informazioni per prevenire riduzioni del credito e aiutare le società di rating nella valutazione.

5. Sperimentare fonti di finanza non bancaria (fintech) per imparare a utilizzarle tempestivamente.

Sono decisioni di micro-management alla portata dei piccoli imprenditori meglio se sono aiutati da qualche professionista. È evidente che nessuna di queste ricette porta alla crescita, ma è altrettanto evidente che in tempi di acque agitate la prima regola per crescere è proprio la stabilità finanziaria. Indossare i giubbotti di salvataggio e prepararsi a un mare agitato può salvare la vita e porre le premesse per un futuro migliore.

 

Fonte: lettera43.it

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