A fare da driver nuovi modelli di consumo, tecnologie dirompenti e normativa. Seguire la corrente serve alla banca per abbattere costi, aumentare le performance ed entrare in nuovi mercati, mentre serve alle Fintech per crescere più rapidamente
A cura di Matteo Tarroni, Co-founder e CEO di Workinvoice
In principio le banche guardarono con sufficienza alle piccole Fintech. Poi, quei nerd illusi di poter cambiare un mondo che appariva inattaccabile, il mondo hanno iniziato a cambiarlo sul serio e le banche hanno provato prima curiosità, poi interesse. Oggi in molti casi, soprattutto nel panorama anglosassone, la strada maestra è quella della collaborazione, tanto che nel Regno Unito è in vigore da qualche anno un referral scheme che stabilisce che ogni richiesta di credito da parte di una PMI che la banca non può soddisfare debba essere trasferita alle piattaforme di P2P lending.
Collaborazione: un trend dominante
È di pochi giorni fa il report di Oliver Wyman che vede le “Banche Italiane su un Piano Inclinato” a causa della drammatica riduzione della redditività ed identifica proprio nell’ “adozione di advanced analytics e del digitale nel processo del credito – dalle politiche creditizie, all’erogazione, al monitoraggio e al recupero” una delle spinte necessarie per “ridare slancio all’industria bancaria italiana”.
Il trend della collaborazione è dunque sempre più studiato e analizzato. Secondo il World Fintech Report (WFTR) di Capgemini e Efma siamo addirittura già entrati nell’era dell’Open X, vale a dire che si sta creando un mercato integrato in cui lo scambio continuo di dati e servizi migliorerà l’esperienza del cliente e accelererà l’innovazione di prodotto. Tutto questo grazie a due innovazioni tecnologiche: la standardizzazione delle cosiddette API (Application Program Interface) e la condivisione dei dati dei clienti.
Un altro studio dal titolo P2P Lending Market dell’Osservatorio Fintech Innovation di ABI Lab (il Centro di Ricerca e Innovazione dell’Associazione Bancaria Italiana) riconosce che collaborando con le Fintech, le banche possono ottenere un duplice vantaggio: da un lato andare incontro a quelle realtà che chiedono credito ma sono oggi difficilmente raggiungibili, e dall’altro offrire la possibilità di nuovi investimenti per i clienti con maggiore capacità patrimoniale. E ancora, possono “sviluppare nuove soluzioni digitali applicate al credito per migliorare l’esperienza del cliente finale”.
Un cambiamento irreversibile
Proviamo a tracciare cause e conseguenze di questo che appare come un movimento irreversibile. Innanzitutto, alla base ci sono tre driver: il primo sono i nuovi modelli di consumo, spinti dai Millennial che acquistano beni e servizi online. Per il 60% dei membri di questa generazione (così attesta il Viacom Millennial Disruption Index), le banche non sono adatte a servirli e il 33% ritiene che non ne avrà bisogno in futuro.
Il secondo driver, strettamente collegato al primo, è la tecnologia, che si evolve alla velocità della luce e impone cambiamenti altrettanto rapidi. Le vecchie strutture bancarie non sono in grado di stare al passo e sono costrette a migrare i propri sistemi su strutture più snelle e flessibili, modulari e facilmente sostituibili. Quindi, nell’ambito del credito alle piccole imprese, le banche hanno abbracciato l’intelligenza artificiale per semplificare l’esperienza dei clienti. Ad esempio hanno automatizzato il processo di sottoscrizione riducendo così i costi operativi (del 22% entro il 2030).
Inoltre secondo PwC l’88% delle istituzioni finanziarie globali vogliono aumentare le partnership con le Fintech per poter abbracciare anche la tecnologia blockchain. Infatti la blockchain, accessibile, sicura e a costi bassi è in grado di rivoluzionare in maniera definitiva le transazioni finanziarie.
Il terzo elemento è la normativa. Ci riferiamo in particolare alla Psd2, entrata in vigore in Italia il 13 gennaio 2018, ma con un periodo di transizione di 18 mesi. Dal 14 settembre 2019 tutti si sono dovuti adeguare, in particolare le banche, rendendo accessibili i conti correnti dei propri clienti a terze parti, che possono, previa autorizzazione, effettuare operazioni di pagamento per conto del titolare. Una norma che permette ad Amazon, Facebook, WhatsApp, e le società Fintech di mettersi in competizione con le banche.
Si tratta di mutamenti esogeni non contrastabili che non possono essere ignorati. Mutamenti su cui il Fintech si è innestato portando nuovi modelli e nuovi processi. Per esempio, dal Fintech deriva un nuovo modo di svolgere l’analisi del rischio di credito, che si traduce in costi inferiori a fronte di un miglioramento delle performance.
Tre esempi di partnership
Le partnership nel mondo si moltiplicano e aprono letteralmente nuovi mercati. Una è quella realizzata da ING con diverse Fintech – tra cui Kabbage, attraverso cui la banca olandese offre un servizio di instant lending in Spagna dal 2016. Oggi amplia alle PMI francesi e italiane, gestendo il processo e collaborando con diverse startup tra cui VI Company che si occupa del digital on-boarding o InfoCert per la e-signature.
Barclays, la principale banca britannica con una rete distributiva capillare, e Santander hanno invece acquisito una quota in Marketinvoice, la piattaforma di invoice trading più importante del Regno Unito. E ancora Santander ha acquisto la quota di maggioranza in Ebury che fa operazioni in cambi per le PMI con un processo semplice e intelligente.
Collaborazione win-win
Dunque perché collaborare è la via maestra? Per la banca, perché ne conseguono evidenti vantaggi in termini di performance e di costo, grazie a cui può raggiungere nuovi mercati di nicchia che normalmente non guarderebbe perché non profittevoli.
Ad esempio, se volesse offrire un nuovo servizio, come l’anticipo fatture, una banca avrebbe tre possibilità.Potrebbe farlo in house acquisendo la tecnologia e le professionalità, sostenendo di conseguenza i tempi e i costi che questa scelta comporta; potrebbe farlo un accordo commerciale con una società di factoring, andando però incontro a un problema di selezione avversa perché, in sostanza, le due parti tenderanno a scambiarsi i rischi meno appetibili (meno solvibili).
Oppure potrebbe rivolgersi ad una Fintech, che offrendo l’infrastruttura in white label (cioè brandizzabile dalla banca) potrebbe rendere possibile alla banca erogare un servizio nuovo senza dover sostenere costi e tempi di sviluppo al suo interno.
Per questo la banca ha bisogno della Fintech. Ma vale anche il contrario: la Fintech ha bisogno della banca per crescere, perché la banca è custode del trust, possiede cioè un valore ampiamente riconosciuto dal cliente che è quello della fiducia. E ha inoltre la capacità distributiva, grazie alle reti capillari di cui dispone. Nessuna delle due parti va avanti, da questo punto in poi, senza l’altra.