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29 Settembre 2021

La pandemia rimette al centro la liquidità per le pmi

Liquidità per le pmi

Gli effetti della pandemia sulla finanza sono stati abnormi. Ma, se si guarda alle imprese e si vuole trovare anche aspetti positivi, potremmo dire che questo evento straordinario ha funzionato da stress test, mostrando a pmi e big corporate le aree critiche della loro gestione. In particolare rendendo evidente l’importanza della liquidità disponibile in caso di eventi estremi. Dallo stress test non tutti usciranno indenni, ovviamente: Banca d’Italia stima che la forte contrazione del PIL registrata nel 2020 porterà a un aumento di circa 2.800 fallimenti entro il 2022. A questi potrebbero aggiungersi altri 3.700 fallimenti che non si sono realizzati nel 2020 per gli effetti temporanei della moratoria e delle misure di sostegno. Sicuramente molte di queste crisi d’impresa erano già in atto prima della pandemia, ma sono emerse in modo più evidente per gli effetti delle misure anti-covid.

I punti deboli delle imprese italiane

La pandemia ha avuto diversi effetti sulla finanza. Due di tipo macro, ampiamenti dibattuti, ovvero da un lato il numero e il volume dei crediti garantiti dallo Stato alle imprese e dall’altro la crescita del risparmio delle famiglie custodito nei depositi bancari. Il primo ha l’effetto di nascondere e rimandare azioni urgenti per contrastare la crisi (come evidenziano le previsioni sui fallimenti), il secondo mostra l’incapacità strutturale di trasferire il risparmio privato a parti dell’economia reale in particolare le PMI.

Lo stress test naturale a cui le imprese sono state sottoposte per effetto di questa tempesta ha mostrano i loro principali punti deboli. Che sono almeno tre:

  • I tempi di pagamento particolarmente dilatati, sia quando si guarda ai rapporti commerciali tra imprese sia (soprattutto) quando il pagamento avviene dalla Pubblica Amministrazione (PA). Esiste anche in Italia una legge, dal 2013, che recependo una direttiva EU imporrebbe a qualsiasi cliente – privato o Stato – di pagare le fatture ai fornitori entro un periodo massimo di trenta giorni. Il condizionale è d’obbligo: secondo un’analisi di Confartigianato  i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali tra aziende e tra PA e aziende sono a tutt’oggi un grave problema, in particolare per gli artigiani e i piccoli imprenditori. La crisi provocata dalla pandemia ha peggiorato la situazione, aumentando i tempi di incasso delle fatture da parte delle micro e piccole imprese che subiscono i ritardi delle aziende committenti. Basti dire che, (sempre secondo Confartigianato) nel 2020 la percentuale di fatture non pagate dalle grandi imprese è aumentata al 20,3% rispetto al 17,7% del 2019. E, tanto per completare il quadro, nello stesso anno i debiti commerciali della PA nei confronti dei fornitori sono lievitati a 58 miliardi di euro (+4 miliardi), pari al 3,1% del PIL, contro una media europea dell’1,7%.
  • Filiere non sempre solide. Per quanto detto, rileverà sempre più, per il futuro, la qualità della filiera di appartenenza. Le pmi che sono riuscite a resistere agli scossoni dei lockdown sono quelle inserite in filiere il cui capo ha intuito le difficoltà dei suoi fornitori più fragili e si è fatto carico dell’onere di sostenerli finanziariamente per evitare blocchi produttivi. Se ne ha evidenza guardando alcuni dati dell’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano. A fronte di una frenata dell’anticipo fattura bancario (-2,7%, a 70 miliardi di euro), il reverse factoring è aumentato del +36,8% (pur valendo ancora solo 6,1 miliardi di euro). Si tratta di un contratto che permette al capofiliera di smobilitare il suo debito verso il fornitore: in sostanza il creditore incassa subito e il debitore si avvantaggia di pagamenti dilazionati verso l’intermediario che ha anticipato il pagamento della fattura. Un sistema collaborativo e virtuoso che permette alle imprese che costituiscono le filiere produttive del nostro Paese di non avere discontinuità di cassa e che dunque può riportare il meccanismo delle supply chain a funzionare in maniera virtuosa: i numeri ci dicono che sempre più aziende lo stanno scoprendo. Va detto tuttavia che purtroppo non tutte le piccole imprese appartengono in modo stabile a una precisa filiera. Chi naviga all’esterno di queste comunità di business ha meno difese finanziarie nei casi di crisi.
  • Gestione del circolante non ottimale. Le misure di contenimento messe in atto per contrastare la pandemia hanno prima costretto a uno stop forzato delle produzioni riducendo o azzerando i fatturati, per essere seguite da una fase di violenta ripresa della domanda, a cui le imprese hanno dovuto far fronte mettendo in piedi uno sforzo enorme. L’approvvigionamento dei materiali o dei componenti dai fornitori è via via diventato difficile per la scarsità delle risorse e il conseguente aumento dei prezzi e chi paga prima i fornitori, ottiene la merce. Questi fenomeni si ripercuotono sulla durata del ciclo di cassa, che tende a dilatarsi. In sintesi le scelte di finanza a breve sulla copertura del capitale circolante possono creare vincoli oppure agevolare la ripresa. Dotarsi di strumenti di supply chain finance è la via maestra per riuscire a gestire efficacemente il circolante.

Su questo punto si innesta l’ultimo elemento chiave, ovvero che le banche hanno scelto di assecondare le misure governative con finanziamenti a 6 anni garantiti dallo Stato, riducendo in modo importante le linee a breve per il credito commerciale. In questo modo si è creata maggiore rigidità nella finanza delle imprese rispetto alla flessibilità operativa richiesta dall’andamento del fatturato, del capitale circolante, delle necessità di pagamento dei fornitori.

La lezione del Covid19 per le imprese

In conclusione, sono tre le strategie che le imprese dovranno attuare per ripararsi dai contraccolpi di nuove crisi economiche e finanziarie.

  • Dotarsi di un sistema previsionale, che prenda in considerazione scenari anche estremi come è stato quello della pandemia e di un blocco forzato della produzione. Si tratta di un’emergenza tanto più rilevante alla luce del nuovo “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, la cui entrata in vigore è stata rallentata dal Covid ma la cui portata rivoluzionaria è evidente. L’obiettivo ultimo della riforma è quello di aumentare il tasso di resilienza anche grazie a una diagnosi precoce di una potenziale crisi di impresa. Alle imprese l’onere di evitare che si accendano gli alert che possono metterle in difficoltà. Avere il pieno controllo della propria condizione finanzaria e riuscire a prevedere eventuali choc in diversi scenari è un aiuto importante in tal senso.
  • Il secondo passo è la riqualificazione del portafoglio clienti, eliminando o limitando l’esposizione a quelli che possono creare anche improvvisamente dei blocchi nei pagamenti, riclassificandoli in base al loro rischio. È un’operazione necessaria anche in funzione dei rischi di classificazione bancaria perché ritardi gravi e sconfinamenti determinano nei sistemi di controllo delle banche stesse l’accensione di “alert” generando difficoltà di accesso a nuove linee di credito e costi superiori per linee in essere, oltre all’attivazione di misure che puntano ad alleggerire le posizioni verso imprese considerate più a rischio.
  • La crescita del settore fintech in Italia con importanti volumi erogati consente oggi alle imprese di esplorare fonti alternative e veloci per procurarsi la cassa, la principale delle quali è rappresentata dalla cessione dei crediti perché non ha impatto sui fidi bancari esistenti. Da questo punto di vista le società fintech hanno consolidato meccanismi di trasmissione del risparmio istituzionale alle imprese. Né richiede che si contragga nuovo debito o che si corra il rischio di segnalazione in centrale rischi. Di fatto cedendo un credito subito dopo la fatturazione si velocizza la circolazione della liquidità che deriva dalla produzione e si possono ottenere risparmi considerevoli chiedendo sconti ai fornitori su pagamenti più veloci oppure risparmiando oneri finanziari in banca. È un discorso che vale in particolare per le piccole e medie imprese che convivono con condizioni di cash flow o di circolante non esattamente perfette, che appesantiscono il bilancio facendo apparire il business non sostenibile.

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