“Diversi gestori UK hanno strutturato fondi con focus sul settore dell’Invoice Trading, che offre un rendimento tra il 6% e il 9% in un orizzonte temporale di breve periodo, aiutando a diversificare il portafoglio clienti e a ottenere alpha in un mercato ancora con il fiato corto.”
A cura di Matteo Tarroni, Founder e CEO di Workinvoice
Rendimento dell’Invoice Trading
Un investimento alternativo, poco volatile e decorrelato rispetto ai mercati tradizionali. Con un track record di rendimento che si muove, a livello globale, in un range tra il 6% e il 9% annuo. Parliamo di Invoice Trading, un’asset class che consente agli investitori istituzionali di diversificare il proprio portafoglio rendendo, al contempo, un contributo alle piccole e medie imprese.
Un investimento impacting, perché contribuisce al buon funzionamento dell’economia reale, riservando alle aziende una fonte di liquidità che alimenta in maniera rapida ed efficace il capitale circolante, mentre le banche continuano a stringere le maglie del credito.
Il Meccanismo dell’Invoice Trading
Il meccanismo dell’invoice trading è piuttosto semplice: la fattura, che si crea come risultato di una transazione commerciale tra fornitore e azienda, viene acquistata attraverso il marketplace dall’investitore, in anticipo rispetto alla scadenza, con un tasso di sconto variabile (in base a diversi fattori, come il costo del capitale di fornitore e azienda, nonché il merito di credito di quest’ultima). Le piattaforme di Invoice Trading selezionano le fatture esigibili in modo da offrirne un campione di elevata qualità: il che rende questo investimento un’opportunità ancora più interessante in termini di rendimento aggiustato per il rischio.
Non è un mistero che ottenere “Alpha” sia ancora complesso con le asset class tradizionali: i bond governativi sono ancora a rendimento vicino allo zero, mentre i prezzi azionari sono sui massimi. Il comparto dei corporate offre sicuramente delle alternative a tassi di reddito potenzialmente elevati, ma con un rischio altrettanto alto. Mentre l’invoice trading offre un’opportunità di guadagno, aggiustata per il rischio, che diventa interessante anche perché si realizza in un orizzonte temporale di breve termine (che corrisponde ai tempi di incasso delle fatture, tra 40 e 60 giorni in Europa).
Chi sono gli Investitori Istituzionali che puntano all’Invoice Trading
Dunque, non è un caso che negli ultimi anni diversi investitori internazionali abbiano avviato fondi focalizzanti sul settore. Lo ha fatto, per esempio, Fasanara Capital, headquarter a Londra, che con il Global Diversified Alternative Debt Fund investe nell’anticipo fatture di PMI in tutto il mondo, con un focus specifico sull’Europa. “Il mercato è per sua natura frammentato e disomogeneo, in quanto dipende da quadri regolamentari diversi Paese per Paese. L’obiettivo del fondo è trasformare questa varietà in un mercato standard”, così scrive il gestore nel factsheet del fondo.
La selezione delle piattaforme digitali viene realizzata attraverso il Due Diligence Scoring System proprietario: il fondo ha un’allocazione geografica che vede l’Italia predominare (con il 36% del portafoglio, seguita da Spagna al 20% e UK al 17%) e il rendimento atteso è tra il 6% e l’8% con una volatilità molto contenuta, nell’ordine dell’1%.
Un altro esempio è quello di P2P Global Investments PLC, un trust britannico quotato focalizzato nell’investimento in piccoli prestiti alle imprese con un profilo di rischio/rendimento attrattivo e bassa volatilità. Anche in questo caso l’obiettivo annuale di rendimento è tra il 6 e l’8% annuo nel lungo periodo. Advanced Global Capital e Method Investments sono altri due operatori specializzati: non stupisce che il trend abbia per capofila soggetti residenti in Regno Unito, luogo da dove tutto nel FinTech nasce e si sviluppa.
Il Mercato dell’Invoice Trading in Italia
Ma anche questi investitori puntano con decisione sul mercato Continentale, quando si tratta di investimenti da inserire nel paniere, e l’Italia spicca, anche perché i volumi crescono a ritmi serrati. Secondo le ultime rilevazioni di P2P Lending Italia che censisce quattro piattaforme (compresa Workinvoice) – l’erogato nel terzo trimestre 2018 è ammontato a 142,1 milioni, con una crescita del 6,9% rispetto al trimestre precedente e dell’ 84,7% rispetto al terzo trimestre 2017.
Il montante complessivo da inception, per il sub-segmento “sconto fatture” è invece di 696,3 milioni di euro. Numeri che non sfigurano al cospetto neppure di quelli britannici: le piattaforme del Regno Unito hanno generato un volume di 140 milioni di sterline nel trimestre e in totale hanno erogato 2.240 miliardi dall’avvio delle attività, vantando una storia decisamente più lunga rispetto alle italiane.
E in Italia, lo spazio per crescere è abnorme: il mercato totale delle fatture vale nel nostro Paese 637 miliardi all’anno, di cui 240 relativi alle PMI. Le soluzioni tradizionali indirizzano ormai solo il 21% del mercato: dal 2010 infatti le banche commerciali hanno ridotto il servizio di factoring alle PMI del 40%, creando un vuoto che le piattaforme di FinTech stanno cercando di colmare. Workinvoice, in particolare, genera volumi di 10 milioni di euro al mese (con un obiettivo di 200 milioni a tutto il 2019) in un mercato che è caratterizzato dai più lunghi tempi di pagamento in Europa: 60 giorni in media, contro i 18 della Germania.
Qui un articolo approfondito sul Mercato Invoice Trading in Italia.
Rendimenti dell’Invoice Trading con Workinvoice
Workinvoice ha sviluppato un modello di origination multi canale che include anche la rete commerciale di Cribis, la principale azienda di business information italiana. La rete distributiva così organizzata consente agli investitori di acquistare asset di qualità e i rendimenti storici, dal 2015 al 2017, confermano che la strategia sia giusta: il rendimento annuale lordo sui tre anni è stato del 9%, con una durata dell’investimento medio di 83 giorni e un valore medio della fattura transata di 46.812 euro (su 3.753 fatture).
Il tasso di default è variato da 0 nel 2015 a 1,27% nel 2016. Scorporando per anno, infine, se il rendimento medio si è tenuto costante dal 2015 al 2017 sul valore indicato (per una performance cumulativa del 27,4%), il rendimento netto è ammontato al 7% nel 2015, al 6,16% nel 2016 e al 7,12% nel 2017.
Al confronto con questi numeri, gli altri strumenti di debito tradizionali impallidiscono: non solo il Bot a un anno che nell’ultima asta ha offerto un rendimento intorno allo 0,6%, ma anche i Bond a cinque anni (gli ultimi in emissione hanno staccato una cedola del 2,45%). E persino i bond corporate non reggono il confronto: il rendimento annualizzato su tre anni dei fondi con rating Morningstar di 4 o 5 stelle si è attestato a fine ottobre all’1,5%.