Il dibattito corrente sui media privilegia stime sui costi, alimenta alibi per ritardi ed esenzioni, mentre il nuovo Codice della Crisi rappresenta un’opportunità da cogliere. Manca ancora nel dibattito concretezza sulle soluzioni finanziarie, come può esserlo l’invoice-trading
A cura di Fabio Bolognini, Co-founder di Workinvoice
Diventa sempre più complesso orientarsi nel labirinto d’informazioni che commentano l’applicazione imminente del Codice della Crisi d’Impresa. Alle notizie essenziali sul perimetro di applicazione e sui criteri da utilizzare per accertare lo sviluppo di un reale stato di crisi (sistemi di allerta) si sovrappongono valutazioni che puntano troppo spesso a evidenziare costi impliciti nell’aderire alla nuova normativa. E’ il caso di quanto diffuso giorni fa da Cerved nel Rapporto Osservitalia 2019 che ha calcolato in 3,8 miliardi (di cui 2,2 mld a carico delle PMI) il costo derivante dalle nomine di revisori, dall’introduzione di sistemi di risk management per un costo compreso tra 20.000 e 40.000 euro per ciascuna impresa. Di fronte a queste stime allarmanti è evidente che la tipica reazione sia quella di chiedere esenzioni, rinvii dell’applicazione della norma come puntualmente ha fatto il presidente della Piccola Industria Robiglio citando “disagio e panico in decine di migliaia di imprenditori“.
Non si deve perdere di vista lo scopo della riforma: costi o investimenti?
In questa fase convulsa dove nascono tanti allarmi quanti nuovi software di auto-diagnosi si rischia di perdere di vista lo scopo della riforma. La prevenzione della crisi, attraverso un meccanismo pilotato di controlli, su una vasta tipologia di imprese che oggi non ne hanno alcuno, è un progetto fondamentale per l’Italia se solo si pensa alla fragilità con cui decine di migliaia di PMI sono fallite negli anni della crisi, portando l’Italia ai vertici dell’Europa per creazione di NPL bancari. Questo la riforma vuole evitare e anche se il costo di installare sensori e sirene di allarme fosse di 4 miliardi, sarebbe totalmente adeguato al rischio di vedere bruciare posti di lavoro, attivi di bilancio, crediti dei fornitori per importi enormemente più elevati.
Ricordando che l’applicazione delle norme del Codice della Crisi e dei sistemi di allerta tocca le imprese con fatturato superiore a 4 milioni di euro, non è pensabile che il costo annuo di un revisore che si affianchi all’imprenditore venga valutato come una gabella inaccettabile. Si tratta alla fine di un investimento e di una polizza assicurativa contro i rischi, perché se è vero che la dimestichezza dei piccoli imprenditori con indici di bilancio e flussi di cassa è mediamente insufficiente, la presenza in affiancamento e la verifica regolare di una persona più esperta può davvero significare molto per un imprenditore e per la continuità della sua impresa. In particolare in una situazione in cui la stessa Cerved ci informa di una nuova dilatazione nei tempi di pagamento tra imprese, la quale sommata al costante calo del credito alle PMI porta a ipotizzare una nuova stagione di diffuse tensioni sulla liquidità delle imprese.
Bene l’aiuto dei software ma senza esagerare
Quanto poi alla necessità/costo di installare complessi sistemi software per la gestione della tesoreria o la stesura di previsionali, francamente restiamo molto scettici che essi siano strettamente necessari per le piccole imprese. Fa sorridere chi è arrivato addirittura a suggerire sulla stampa l’uso di ‘balance scorecard’ – famosa tecnica della Harvard Business School – con i suoi abbondanti utilizzi dell’aggettivo ‘strategico’. Questo sì, temo possa spaventare il piccolo imprenditore. La realtà è che su piccole dimensioni aziendali tenere sotto controllo il patrimonio o la quantità di flussi di cassa necessaria a rimborsare nei prossimi 12 mesi le rate per capitale e interessi a banche o erario non è una missione così complessa, può essere fatta con una buona e rapida contabilità, uno schema ordinato di controllo di gestione e una costante previsione di entrate, uscite e flussi di cassa su fogli elettronici. Semplificare aiuta a distruggere falsi miti e riporta l’intero castello dei sistemi di allerta dove è giusto che stiano: un grande meccanismo organizzativo e assicurativo per ridurre il numero di fallimenti legati a interventi tardivi, di cui sono pieni i tribunali fallimentari italiani.
Le soluzioni finanziarie: gestire il circolante, cedere i crediti quando serve
Stranamente nel dibattito in corso poco o nulla si dice sugli strumenti finanziari che possono essere d’aiuto alla formazione di un cuscinetto di sicurezza nella cassa. Perché avere i diagnostici va benissimo ma non sapere che medicine assumere rende tutti i diagnostici poco utili.
Se il fulcro del sistema di allerta è centrato sui flussi di cassa necessari per sostenere una dose (forse eccessiva) di debito, occorrerebbe parlare della gestione del capitale circolante, unica leva in grado di esprimere nel breve risultati apprezzabili. Escludendo di pagare i fornitori con maggiore ritardo (questo fa scattare un sensore di allerta) non resta che incassare i crediti più rapidamente. Se per una piccola impresa ottenere pagamenti a 30 giorni è un miraggio e tale resterà, allora non resta che anticipare l’incasso presso una banca o venderli presso una piattaforma di invoice-trading che, come nel caso di Workinvoice, realizza l’operazione completa in pochi giorni, non chiede particolari vincoli sulla cessione del cliente e limita la burocrazia allo stretto indispensabile.
Cedere crediti è senza alcun dubbio il modo più efficace e rapido per ripristinare equilibri di cassa e patrimoniali che allontanano concretamente il rischio di una segnalazione d’allerta. Tutto il resto è francamente molto accademico e molto incline a creare alibi o lasciare la piccola impresa nel suo stato di bassa competenza finanziaria, mentre è esattamente il contrario che tutti auspichiamo. Solo le piccole imprese equilibrate possono crescere e diventare polo aggregante. Le altre lottano finché possono per la sopravvivenza.