La paura delle aziende è nei numeri. E in quella percezione di incertezza e instabilità che si traduce nel 56% di Piccole e medie imprese che pensa di aver bisogno di accedere a un finanziamento entro una settimana. Per arrivare a quel 31% che ne ha urgenza – o così percepisce – in meno di 48 ore. Soldi che servono a finanziare gli investimenti per la crescita, le normali uscite di cassa e alle volte a coprire fenomeni inattesi come, per esempio, l’improvviso rincaro di una materia prima.
Il risultato del sondaggio condotto da Workinvoice, in collaborazione con l’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano, sull’universo delle Pmi italiane apre un mondo quasi sconosciuto per la mancanza di dati puntuali, ma che serve a fotografare la spina dorsale del Paese: con un giro d’affari, calcolato da Sace, di oltre mille miliardi di euro, le Pmi generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano un terzo di tutti gli occupati. Non solo, sono le imprese più dinamiche con un incremento della produttività del 7% tra il 2010 e il 2019 e sono campioni dell’export: nel 2019 hanno venduto all’estero beni per 219 miliardi di euro, il 46% delle esportazioni dell’intero sistema Italia.
Per questo le Pmi sono le imprese che più di tutte hanno bisogno di essere supportate nella gestione della liquidità e di conoscere soluzioni alternative ai canali tradizionali. Ancora di più oggi, dopo anni di sconvolgimenti macroeconomici e geopolitici. Prima la pandemia globale che ha fermato i mercati e poi ha strozzato le catene di approvvigionamento con la ripresa della domanda; poi l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia che ha fatto esplodere il prezzo del gas e a cascata dell’energia; infine le tensioni sul Mar Rosso che bloccano Suez con un aumento della volatilità sulle consegne e sulle vendite delle merci, che si traducono in tempi d’incasso più lunghi e comunque più incerti.
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