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28 Febbraio 2019

Le Pmi non sono la zavorra dell’economia italiana

PMI ed economia italiana

A cura di Fabio Bolognini, Chief Risk Officer di Workinvoice

Sono accusate di essere la causa della bassa produttività. Eppure sono fondamentali per il sistema della grande impresa e le filiere produttive, oltre che per la tenuta dell’occupazione. Un’analisi.

Negli ultimi mesi sulle piccole imprese italiane si è riversata una cascata di critiche, complice prima la recessione economica con la triste conta di fallimenti, poi la ripresa debole ora il rischio di una nuova recessione. Sul banco degli imputati la piccola impresa è accusata da esperti di economia e di finanza di reati quali il ‘nanismo’ cronicizzato, la bassa produttività, la scarsa propensione all’innovazione, i limiti manageriali. I pregi delle Pmi italiane, un tempo studiati sino a Harvard, oggi sono difetti, zavorra sulla ripresa italiana e motivo di confronto perdente con i Paesi europei. È impossibile negare che la dimensione molecolare del sistema produttivo italiano porti con sé vizi strutturali, che si amplificano quando il salto tecnologico è più pronunciato, questo è il momento della digitalizzazione di processi e mercati. Non serve ricordare che le ‘imprese bonsai’ sono tali per una serie di scelte (o non-scelte) istituzionali, tra le quali spiccano la burocrazia oppressiva, la fiscalità punitiva e la legislazione del lavoro. Diversi fattori hanno indotto indirettamente scelte dimensionali. Ripetute esortazioni verso processi di aggregazione, di internazionalizzazione e di conversione al commercio digitale non hanno stimolato l’auspicata rivoluzione della piccola impresa più di tanto.

I vantaggi che le piccole imprese offrono al Paese

L’Italia non può permettersi di gettare con l’acqua sporca (i difetti) anche il bambino (le micro e piccole imprese), tenendo presente che il bambino paga i salari a 2/3 della forza lavoro totale. Una lettura diversa del pianeta piccola impresa potrebbe aiutare a trovare risposte. Partendo dal basso, dall’osservazione di centinaia di casi di piccole imprese frutto di quattro anni di offerta di servizi innovativi per la cessione dei crediti commerciali (invoice trading) si ottengono visuali diverse e controverse:

1. La piccola impresa non è una comunità chiusa di gnomi in un villaggio economicamente isolato. La piccola impresa è parte integrante di centinaia di filiere di produzione di beni e di servizi, non casualmente, bensì per una precisa scelta operata dalle imprese di maggiori dimensioni. Queste ultime hanno scelto di trarre importanti benefici dalla scelta strategica della subfornitura: vantaggi economici (prezzi), organizzativi (tagli di personale), nella supply chain (flessibilità approvvigionamento e magazzini più leggeri). Questi aspetti sono più che evidenti nelle filiere della meccanica auto e delle macchine utensili. Lo sono ancora di più nella logistica e nei trasporti, le cui filiere sono lunghe e frammentate per esigenze geografiche ma anche per scelta degli operatori logistici a cui si affidano i grandi marchi.

2. La piccola impresa ha funzionato come ammortizzatore sociale durante la lunga crisi, subendo e assorbendo il calo drammatico dei volumi, comprimendo l’occupazione molto meno di quanto avrebbe dovuto fare, stringendo i denti grazie alla compressione dei profitti e dei risparmi in famiglia, anche con anni di margini a zero o negativi. Sul fronte opposto la grande impresa riduceva, tagliava, ottimizzava, licenziava o utilizzava intensamente il ricorso alla cassa integrazione.

3. La piccola impresa – sopravvissuta alla grande crisi – ha una maggiore elasticità di rimbalzo e di adattamento alla ripresa dei fatturati per seguire la domanda della grande impresa in tempi brevi. Comprime e dilata come una fisarmonica il proprio fabbisogno di capitale circolante, pure in presenza di un sistema dei pagamenti penalizzante sui tempi e sui ritardi.

Perché le Pmi sono indispensabili

In sintesi le prove su strada inducono a pensare che larga parte delle imprese piccole oggi siano indispensabili alle grandi imprese molto più di quanto si voglia ammettere. La loro simbiosi da pesce pilota arriva talvolta a ribaltare i tipici rapporti di forza dimensionali, se la realtà dimostra quanto sia costoso e complicato sostituire un piccolo fornitore specializzato. Dopo aver deciso di abbandonare talune produzioni o taluni servizi esternalizzandoli ai piccoli, riportarli all’interno è tutt’altro che semplice. Resta vero, purtroppo, che in moltissimi casi piccole imprese con un basso tasso di accumulo di capitale sono limitate nel processo d’innovazione ma questo non è applicabile a tutte le piccole imprese come dimostrano alcuni degli studi recenti di Confartigianato. È invece vero che una parte delle micro-imprese della nuvola fornitori delle grandi non ha sufficienti motivazioni per crescere di dimensione, passando da piccola a media. A causa della compressione dei margini spesso non ha i muscoli finanziari per avventurarsi all’estero o per uscire dalla gabbia del conto lavorazione affrontando investimenti per cicli produttivi completi, reti di vendita, costi di marketing e così via.

La supply chain rimpiazza le banche

La scarsa muscolatura finanziaria delle Pmi conduce all’ultimo spunto di osservazione: la finanza delle piccole imprese. Anche in questo caso si può criticare un modello di sviluppo (o di sopravvivenza) attestato su poco capitale e troppo debito bancario. Tuttavia se pragmaticamente si parte dall’assunto che questo sistema di micro e piccole imprese sia una componente funzionale e critica nelle filiere delle nostre medie e (poche) grandi imprese, la loro dipendenza (e vulnerabilità) dal debito bancario va gradualmente rimossa.

Il sistema bancario sta provvedendo a disintossicarle riducendo progressivamente il credito disponibile alla piccola impresa dal 2011, ma così molte piccole imprese restano sole a reggere il peso del capitale circolante. Per questo motivo un doppio sfruttamento delle piccole imprese da parte delle grandi non è una scelta lungimirante: compressione sui prezzi tempi di pagamento lunghi sono un carico eccessivamente penalizzante e pericoloso.

La liquidità dei piccoli è la base della loro solidità e crescita

Le alternative percorribili per rafforzare l’ossatura industriale e il sistema della piccola impresa nel breve (1-3 anni) sono incentrate sui flussi di liquidità. Non conterei più di tanto sullo sviluppo di una cultura della quotazione in Borsa o del ricorso al mercato dei capitali istituzionali, che pure svolgeranno un ruolo sempre maggiore in futuro. Una contro-analisi meno scontata e più realistica delle filiere, del credito innovativo e dei flussi di liquidità sono il presupposto e la miscela che possono innescare un graduale rafforzamento del sistema della piccola impresa. Piccole imprese più robuste e protette dai rischi d’insolvenza in ultima analisi vanno a beneficio delle stesse grandi imprese che potranno continuare ad avvalersi delle straordinarie competenze e energie di centinaia di migliaia di piccoli imprenditori. La riforma della legge fallimentare che si avvia quest’anno è destinata a trasformare i concetti qui espressi in una realtà da gestire e affrontare a livello di sistema economico. Come sempre dobbiamo recuperare tempo e abbiamo poco tempo.

Fonte: lettera43.it

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