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10 Agosto 2017

10/08/2017 – Anticipo fatture online: la carica delle startup fintech

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Chi ha dubbi sul reale impatto che le startup possono avere sul funzionamento del sistema produttivo italiano, potrebbe dare un’occhiata a quello che si sta muovendo tra le nuove imprese fintech attive nell’anticipo fatture online e nel factoring “4.0”. Nonostante il volume dei finanziamenti sia ancora ridotto, le principali startup innovative che si sono tuffate su questi segmenti del credito di filiera stanno crescendo a ritmi elevati e si stanno dimostrando uno dei canali alternativi più promettenti per fornire liquidità alle Pmi italiane.

Quella stessa liquidità che nel Belpaese fatica ancora maledettamente ad arrivare ai Piccoli. Basta osservare qualche numero: secondo l’Osservatorio supply chain finance della business school del Politecnico di Milano, il tempo medio di incasso dei crediti commerciali è di 78 giorni (contro una media europea di 47 giorni) e quello di pagamento dei debiti ai fornitori arriva a 137 giorni (rispetto alla media del Vecchio Continente pari a 65); in base alle stime di Confcommercio, il credit crunch si è abbattutto sulle imprese riducendo di 120 miliardi in cinque anni il credito erogato; e ancora, l’Osservatorio Pmi 2016 di Cerved sottolinea che le piccole e medie imprese che hanno problemi di accesso al credito in Italia sono circa la metà (48,5%).

In un contesto del genere, la cessione dei crediti e l’invoice trading sono quindi un affare di miliardi di euro: il mercato italiano dell’anticipo fattura ne vale 87 e quello del factoring 57 (fonte: Osservatorio Polimi). A questi processi, che esistono da tempo, le startup hanno aggiunto digitalizzazione, velocità, flessibilità e semplicità.

Credimi, per esempio, è una giovane società milanese, fondata nel 2015 e con un team di una ventina di persone (soprattutto intorno ai 30 anni), che anticipa online le fatture alle Pmi e poi le cede a fondi di investimento selezionati. Le imprese che richiedono il servizio compilano un form sul sito internet della società, caricano la fattura, che deve essere tra 5 e 500 mila euro, e nel giro di 48 ore ricevono una risposta.

Se l’esito è positivo, la società cedente (pro solvendo, quindi garantisce la solvibilità) ottiene sul proprio conto corrente l’importo della fattura ridotto del costo di anticipo, che viene calcolato da Credimi in base al rischio.

“Per esempio, il tasso mensile su una fattura a 90 giorni è tra l’1 e l’1,5 per cento”, spiega il fondatore e ceo Ignazio Rocco di Torrepadula, esperto di finanza, investitore di lungo corso ed ex consulente di Boston Consulting Group.

A quel punto, Credimi, che è regolarmente autorizzata da Bankitalia alla concessione di finanziamenti al pubblico, colloca la fattura cartolarizzata ai quattro fondi di investimento che si sono impegnati, fino a un’esposizione massima di 50 milioni, a sottoscrivere i finanziamenti concessi dalla startup.

“Questo prodotto – aggiunge il ceo di Credimi – è disponibile al pubblico dallo scorso gennaio: a inizio agosto, abbiamo finanziato circa 1.300 fatture, per un transato intorno a 23 milioni di euro, e più della metà, il 60%, è stato concesso da maggio a luglio. Ogni settimana, il numero di domande oscilla tra 50 e 100 ed eroghiamo in media un milione di euro”.

Realisticamente, dice Rocco di Torrepadula, “in un settore che vale complessivamente 400 miliardi all’anno, nel medio-lungo termine gli operatori alternativi possono trovare un loro spazio e accaparrarsi una quota di mercato di qualche punto percentuale”.

Rispetto a banche e società di factoring, che magari hanno altri vantaggi e lavorano anche su importi molto grandi, una startup come Credimi fornisce un servizio che si può ottenere con pochi click, fa pervenire il denaro nel giro di un paio di giorni – a volte anche poche ore se il cliente è già conosciuto – e senza costi aggiuntivi rispetto a quello per l’anticipo della singola fattura.

Un servizio simile, ma basato su un meccanismo diverso, è quello che offre Workinvoice, che è un marketplace di fatture. La startup, fondata nel dicembre 2013 da un gruppo di manager esperti di finanza (Matteo Tarroni, Fabio Bolognini, Luca Spampinato ed Ettore Decio), ha creato una piattaforma su cui, fino a inizio agosto 2017, sono stati transati crediti per quasi 76 milioni di euro e l’obiettivo entro fine anno è di raggiungere quota 100 milioni.

Workinvoice, anziché agire come finanziatore diretto, si propone appunto come un intermediario tra le Pmi e gli investitori e seleziona le aziende che vogliono vendere i propri crediti, controlla che le transazioni esistano realmente e valuta il rating del debitore.

Per ogni cessione (le aziende selezionate possono caricare le proprie fatture 24 ore su 24 e 7 giorni su 7) è prevista un’asta in cui l’impresa che cede indica un prezzo minimo, che vale come base, e uno “preferito”, che fa sicuramente chiudere l’asta se un compratore offre quella cifra. Una volta negoziato il prezzo, i cedenti incassano il 90% dell’importo nominale della fattura nel giro di pochi giorni e il rimanente, decurtato della remunerazione trattenuta dall’investitore e dei costi di intermediazione, quando il cliente avrà saldato. La cessione avviene pro soluto, quindi l’azienda che cede non deve rispondere di eventuali inadempienze da parte dei debitori.

“Mediamente, una fattura di 10 mila euro viene venduta tra i 9.800 e i 9.850 euro”, dice Matteo Tarroni, che ha alle spalle esperienze in grandi realtà finanziarie come Mediobanca e Merrill Lynch.

“Il tasso di sconto annuo può variare, a seconda dei debitori, tra il 4 e il 10%”. La piattaforma, che inizialmente si rivolgeva agli investitori privati, ora ha come interlocutori soprattutto investor istituzionali.

“Sono soprattutto di tre tipologie: fondi alternativi non italiani specializzati nell’acquisto di crediti commerciali, che investono in vari Paesi attraverso piattaforme simili alla nostra; fondi tradizionali che usano questa asset class per il cash management; infine, veicoli di cartolarizzazione che trasformano i crediti in obbligazioni da collocare ad altri investitori”, spiega il ceo di Workinvoice.

La startup, che ha sede a Milano e per cui lavorano dodici persone, è molto vicina al break even. Per ammissione dello stesso Tarroni, l’invoice trading online non è certo un’invenzione di Workinvoice. Basti pensare che la britannica Marketinvoice, leader europea in questo mercato, nell’ultimo trimestre ha intermediato fatture per un valore di circa 160 milioni di sterline.

“Il nostro merito – afferma il ceo della startup – è però quello di aver portato in Italia per la prima volta questo servizio e di aver contribuito alla digitalizzazione, seppur parziale, delle società di factoring, che ora acquisiscono clienti soprattutto online e hanno reso più semplici i processi di ‘onboarding’ (la fase di selezione e di presa in carico delle aziende ammesse alla negoziazione, ndr) proprio osservando gli esempi di startup come la nostra”.

Oltre a queste due realtà, che sono le più avviate e sono entrambe fondate da “startupper”intorno ai 50 anni che hanno alle spalle anni di militanza in società finanziarie e di consulenza, ci sono altre giovani imprese che si stanno lanciando su questo canale di finanza complementare e vedono tra i propri founder anche imprenditori più giovani.

Per esempio, Cashme, creata dall’under 30 Marcello Scalmati, una piattaforma di aste online per la cessione di fatture che punta a chiudere il 2017 con un transato di 40 milioni di euro; Crowdcity, un mercato telematico che permette alle aziende di calcolare il valore delle proprie fatture e di cederle a investitori in grado di pagare entro cinque giorni dalla cessione; e Cashinvoice, una startup in rampa di lancio che fa parte di Hub21, il polo scientifico, tecnologico e culturale di Ascoli Piceno.

Fonte: Corriere della Sera

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